Il Nautilus, una delle vie simbolo dell’arrampicata in Valle dell’Orco, raccontato da Andrea Giorda che, trent’anni fa, ne compì la prima salita insieme a Mario Ogliengo e Roberto Perucca. Un viaggio tra passato e presente per ricordare com’eravamo ma anche, forse, per sognare quello che dobbiamo ancora scoprire.
CARI AMICI VI SCRIVO: I TRENT’ANNI DEL NAUTILUS
di Andrea Giorda
Cari Amici del Nautilus,
mi verrebbe da iniziare così, perché gli amici del Nautilus, la via sul Sergent in Valle dell’Orco aperta 30 anni fa, sono proprio tanti. Per averne un’idea basta una veloce ricerca su internet, digitando le parole “Nautilus Sergent Orco “appaiono pagine di siti che riportano non solo récit d’ascension, ma foto e moltissime relazioni.
E’ curioso come i ripetitori vogliano sigillare la loro esperienza con una nuova relazione, penso che poche vie ne abbiano tante e diverse. Ne ho scoperta addirittura una dell’ALPIKLUBI, un club alpino dell’Estonia! Per non parlare delle foto; non sei stato in valle dell’Orco se non hai la foto sul fessurone del primo tiro della via. Addirittura Lindsay Griffin, celebrità mondiale del giornalismo alpino, ha messo la sua sul sito del BMC (British Mountain Council).
Mi sono chiesto, nella ricorrenza del trentennale, cosa abbia decretato tanto successo. Sicuramente è una bella via, ma oggettivamente di belle vie ce ne sono tante. Forse il segreto del Nautilus è nella sua capacità evocativa. Chi la percorre, in particolare se segue il tracciato originale del grande camino, evidentemente vive un’esperienza che va al di là della semplice scalata.
Alessandro Gogna scrisse su Rock Story che il Nautilus portava al vero cuore del Sergent, quasi il colosso di granito fosse un mostro vivo e addormentato. Rileggendo la mia relazione su Monti e Valli dell’epoca, resto sorpreso di quanto anche io ne rimasi colpito. Quasi avessimo scoperto la porta degli abissi, dove il Capitano Nemo a bordo dell’avveniristico sottomarino Nautilus, ci indicava un futuro, incerto e non proprio roseo. Potrà l’uomo, come il Capitano di Verne, dominare e vivere in armonia con la natura o è condannato ad essere annientato dalla sua stessa arroganza?
A trent’anni di distanza gli interrogativi sono drammaticamente gli stessi. Senza andare tanto lontano basta percorrere la stessa strada da Torino alla valle dell’Orco e vedere come è cambiata. La pianura è invasa da una teoria infinita di cemento e capannoni inutilizzati che coprono per sempre fertili terreni agricoli. Ceresole , come tante località nel nostro paese, ha avuto come unico sviluppo la costruzione di case vuote undici mesi all’anno. La brevità della vita ci rende egoisti, evidentemente il futuro non ci appartiene.
La storia della via è banale, è frutto del nostro continuo girovagare per la valle. Il fatto nuovo è la presenza di un ragazzino che avevo conosciuto al Palazzo a Vela di Torino, dove ero stato chiamato da Andrea Mellano ad inventarmi il mestiere di istruttore indoor di arrampicata, assieme agli amici Gerard Salette e Valeria Valli. Questo “bocia”, così si apostrofano i ragazzini in piemontese, si chiamava, perché purtroppo non c’è più, Roberto Perucca. Era alle prime armi, costantemente illuminato da una passione trabordante, sognava scalate e Pink Floyd .
Credo che il regalo più bello che gli potessimo fare io e Mario Ogliengo , fosse quello di invitarlo ad aprire una via con noi, e non gli sembrò vero quando gli concedemmo di scalare il primo tiro, quello delle foto che immortala gli attuali ripetitori. Non c’erano ancora i friend, mise un solo excentric sulla fessura di destra che si tolse prima di finire il tiro, non gli mancava la determinazione. Era già fortissimo, ma forse ancora un po’ inesperto e sul camino difficilmente proteggibile ripresi la testa della cordata, ci alternammo poi io e Mario fino al termine della via.
Il Nautilus, in fondo, di difficoltà più abbordabile di capolavori come L’Orecchio del Pachiderma o la Fessura della Disperazione, permette a tutti di vivere, come dice qualcuno sui siti e nei blog, l’esperienza del Nuovo Mattino.
In realtà il Nuovo Mattino era già finito nel 1975, io, assieme ad Enrico Camanni, Gabriele Beuchod e pochi altri eravamo i primi sparuti eredi in una valle deserta assai diversa da ora. L’apertura del Nautilus credo chiuda un’epoca, quegli anni ’70 che avevo avuto ancora la fortuna di vivere, dove i protagonisti erano la scoperta e l’avventura.
I miti di riferimento non erano più i californiani Royal Robbins o Chuck Pratt ma il giovanissimo Patrick Berhault , che ci aveva appena fatto vedere i frutti del suo allenamento ossessivo, salendo quasi tutta in libera la via dei Nani Verdi all’Orrido di Foresto. Marco Bernardi e di lì a poco Andrea Gallo e compagni, primi seguaci nostrani del francese, non erano da meno, sperimentando il nuovo verbo nella bassa val di Susa. Anche la valle dell’Orco attendeva nuove generazioni che avrebbero fatto dell’arrampicata libera il nuovo obiettivo .
In quella lontana primavera ricordo che ormai la valle mi stava stretta, l’amavo ma l’incanto era finito. L’estate prima ero stato uno dei primi italiani assieme ad alcuni amici a ripetere la Diretta Americana al Dru. Allora forse la via più difficile del Monte Bianco. Proprio in quell’occasione alla base del Dru, prima della salita, incontrai al bivacco del Rognon, Berhault e Jean Marc Boivin che avevano scalato in un solo giorno l’Americana al Fou e al Dru. Incredulo mi feci raccontare la loro impresa, possibile grazie anche ad un deltaplano biposto!
Il mondo e il livello tecnico avevano preso a correre, le fessure della Valle dell’Orco ci avevano dato un vantaggio non da poco, tale da non sfigurare sulle vie più dure dell’epoca, ma ora si trattava di portare questi insegnamenti sulle montagne più alte, e proseguire su nuovi terreni di scoperta.
Vedevamo ora nuove opportunità sulle montagne di casa come il Becco di Valsoera o le pareti del vallone di Noaschetta, ma non vi era nessuna riverenza ad andare a sfidare i cugini francesi nel loro campo, aprendo in quello stesso anno una via sui Grands Charmoz con Sandro Zuccon e Pierre Mauro, nelle Aiguilles di Chamonix.
La via del Nautilus non è più nostra, il Nautilus è di chi la ripete, di chi faticosamente o facilmente la scala, così come una canzone è di chi la suona, la canta o semplicemente l’ascolta. A noi, Andrea, Mario e Roby ragazzi di trenta anni fa, la soddisfazione di una emozione che dura nel tempo.
Andrea Giorda
CAAI
SCHEDA NAUTILUS, SERGENT, VALLE DELL’ORCO
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