Ieri sera è mancato nella sua casa dei Resinelli ai piedi dell’amata Grigna, Riccardo Cassin. Con lui se n’è andata un’assoluta leggenda dell’alpinismo mondiale di tutti i tempi. Riccardo Cassin aveva compiuto 100 anni il 2 gennaio scorso.
Sarà difficile abituarsi all’idea che Riccardo Cassin non c’è più. E’ già difficile ora, da subito. Non solo perché Riccardo ha vissuto tanto e intensamente nei suoi 100 anni. E non solo perché è un assoluto mito dell’alpinismo. Ma perché quell’uomo scolpito nella roccia e fatto per la montagna, quell’ “Uomo rupe” come lo definì Fosco Maraini, è stato un riferimento per tutti. Riccardo Cassin rappresenta l’essenza stessa dell’alpinismo, dell’uomo che sa porsi degli obiettivi e che li raggiunge. E così Riccardo ha saputo essere anche nella vita, oltre la montagna. Quella montagna che lui amava definire “la mia fidanzata”.
Cassin rappresenta il prototipo dell’alpinista e dell’uomo che non si ferma mai, ma che sa guardare avanti. Sapeva andare oltre gli ostacoli, Riccardo. Sapeva intuire e, soprattutto, trovare la strada migliore per superarli. Era caparbio. Cocciuto anche. Difficile, se volete. Era il capocordata che voleva stare davanti, sempre e comunque. Era il capo famiglia “patriarca”. Ma era anche l’uomo che, in montagna come nella vita, sapeva fare delle scelte e assumersene la piena responsabilità.
E’ l’uomo che scelse la lotta partigiana perchè “i tedeschi occupavano la nostra terra e le nostre case. Cosa si doveva fare se non mandarli via?”. Era l’alpinista che ricordava con orgoglio di non aver mai perso un compagno di cordata, e questo per dire quanto ci tenesse agli uomini che si legavano con lui. Non a caso era l’uomo che definiva i suoi compagni di scalata come “tutti grandi alpinisti”. Ed era il figlio, il marito, il padre e il nonno che voleva essere di esempio per tutti. Forse è per questo che è stato amato e rispettato da tutti. Tanto da essere addottato come fratello, padre, nonno dagli alpinisti di ogni età. Tanto che per tutti era semplicemente Riccardo.
Difficile pensare ad un “mito”, o semplicemente ad un alpinista, che non resti legato alle sue imprese. Oppure che non si disinteressi di quello che viene dopo di lui. Anche in questo Cassin è stato speciale. Era aperto al futuro ed è sempre stato curioso come lo sono i grandi uomini. Per questo forse non si fermava mai, e guardava al futuro, ai giovani, sempre con grande interesse. Perciò molto spesso si è schierato con le nuove generazioni piuttosto che con l’establishment alpinistico. Sarà che lui, friulano, nato a S. Vito al Tagliamento il 2 gennaio 1909, emigrato giovanissimo a Lecco in cerca di lavoro e fortuna, ce l’aveva nel DNA la voglia di rinnovarsi e dar credito alle speranze di chi deve costruirsi un futuro contando solo sulle proprie forze. Tanto che, dopo l’apprendistato come fabbro a Lecco, diventò capo officina e quindi direttore di un’azienda. Il tutto mentre studiava alle scuole serali e, alla domenica, cominciava ad arrampicare in Grignetta, per poi ampliare il suo raggio di azione in montagna prima nelle Dolomiti, poi sul Monte Bianco e quindi sulle montagne del mondo.
Difficile ricordare i mille anedotti della sua vita da alpinista. Com’è impossibile ricordare le oltre 2500 salite di cui più di 100 in prima assoluta. Difficile raccontare tutto quello che ha rappresentato per Lecco e per l’alpinismo ma anche per il Gruppo dei Ragni di Lecco di cui è sicuramente uno dei simboli. Quel che è certo è che ci restano delle vie bellissime e delle imprese che non solo hanno segnato la storia dell’alpinismo ma, anche e soprattutto, hanno popolato i sogni di miriadi di alpinisti. Come, solo per citarne alcune, la prima salita sul bellissimo spigolo della Torre Trieste (Dolomiti) realizzata nel 1935 assieme a Vittorio Ratti. E, sempre con Ratti e nello stesso anno, la salita che stupì il mondo sugli incredibili strapiombi della parete Nord della Cima Ovest di Lavaredo. Oppure la prima salita sulla grande Nord Est del Badile (1937 con Ratti ed Esposito). E ancora la mitica prima sullo Sperone Walker delle Grandes Jorasses (1938, con Gino Esposito e Ugo Tizzoni).
Poi le spedizioni. Prima fra tutte quella mancata del K2 in cui Cassin, dopo aver partecipato alla ricognizione di preparazione, fu ingiustamente escluso. “Non posso dimenticare…” diceva Cassin ricordando quell’episodio. Anche se forse proprio quella grande delusione gli diede poi modo di far vedere il suo valore da capo spedizione prima con la salita di un magnifico vicino del K2, il Gasherbrum IV (7925m), la cui vetta fu raggiunta da Bonatti e Mauri nel 1958. Poi con la grande prima salita della Sud del Mount McKinley in Alaska che vide in vetta tutti e sei i componenti della spedizione dei ragni di Lecco, compreso lo stesso Cassin. Per quella salita Cassin ricevette adirittura un telegramma di congratulazione del presidente degli Stati Uniti John Kennedy. Come dire cose d’altri tempi, di quando ancora l’alpinismo era sogno e avventura.
Ora che Riccardo non c’è più tutto questo resta. La sua storia, le sue vie e le sue imprese continueranno per sempre a far sognare. Come resterà per sempre il ricordo di un uomo che non si è mai negato alla vita e alla montagna. Un uomo che non ha mai parlato troppo ma che era sempre molto chiaro: bastava guardarlo negli occhi per capirlo. Contavano i fatti, per Cassin. Ma contava anche la gentilezza e quel sorriso arguto che gli illuminava gli occhi quando era felice. Così sono io, sembrava dirti. Così è sempre stato e sempre sarà Riccardo Cassin. Un uomo e un mito che tutti gli alpinisti chiamano Riccardo, e che ci mancherà.
Riccardo Cassin era un componente del Gruppo Ragni della Grignetta, socio onorario del Club Alpino Accademico Internazionale, del Groupe Haute Montagne e dei club alpini di Italia, Stati Uniti, Spagna, Svizzera e Francia. Lascia 3 figli, 7 nipoti e 4 bisnipoti.
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